Benvenuti nel mio mondo

Performer, attore, regista, coreografo, modello, cantante, capitano di ballo nel musical Pretty Woman si racconta in un’intervista esclusiva a Leonardo Vanni.

CIAO GIULIO, COME STAI?
Ciao Leonardo, tutto bene! Sto attraversando un periodo molto denso ma fruttuoso e soprattutto stimolante.

COMINCIAMO DALL’INIZIO: COME E QUANDO HAI CAPITO CHE QUESTO SAREBBE STATO IL MESTIERE CHE AVRESTI VOLUTO FARE DA GRANDE
L’ho capito a 16 anni quando ho fatto il mio primo stage con dei professionisti del mondo dello spettacolo: Antonello Angiolillo, Barbara Pieruccetti e Laura Ruocco con la Direzione Artistica di Marco Columbro a Trequanda, alla Vesuna, la locanda di Marco.
Quel mondo lo avevo sempre immaginato come un grande dipinto, da lontano, quasi uno schermo piatto di un cinema e, quando andavo a teatro, vedendo gli spettacoli, mi meravigliavo di così tanta bellezza, solo che per me rimaneva un qualcosa di impenetrabile.
Durante lo stage ho capito però, che entrare in quel mondo non era impossibile e, quando Laura Ruocco mi ha contattato qualche tempo dopo proponendomi un lavoro relativo allo spettacolo che stava facendo, come cover in sostituzione dei protagonisti, ho capito che c’ero già dentro.
Per tre anni ho girato in tour fino a quando dopo la maturità ho deciso di trasferirmi a Roma e studiare in accademia alla Golden Actors.

PERFORMER, ATTORE, REGISTA E CAPITANO DI BALLO; IN QUALE DI QUESTI TI SENTI PIU’ GIULIO BENVENUTI?
Giulio è tutti questi ruoli: performer, attore, regista, dance capitan, coreografo, modello, cantante…qualsiasi cosa ci sia da fare la faccio.
Di base sono infatti un creativo: ho voglia di creare, sia quando interpreto un personaggio sia quando mi ritrovo a dirigere o coreografare uno spettacolo.
Credo che creare sia la cosa più potente che esista e mi piace l’idea di lasciare nel mondo frammenti di bellezza, vista attraverso i miei occhi.

COS’È PER TE IL TEATRO?
Il teatro per me è un momento sacro, di sospensione, un luogo immaginario dove il tempo si ferma; è un sogno ad occhi aperti durante il quale lo spettatore ha modo di vedere, di respirare, di sentire gli attori che vivono il momento; quando tutto questo è fatto bene, diventa magico: un piccolo miracolo!

L’EMOZIONE CHE HAI PROVATO QUANDO SEI RIUSCITO A METTERE IN SCENA IL TUO PRIMO SPETTACOLO COME REGISTA
In generale tutte le volte faccio la regia di uno spettacolo, di un videoclip, di una coreografia, la sensazione che provo all’apertura del sipario alla prima è sempre la stessa: se va bene è colpa mia, se va male è colpa mia! È una sensazione di responsabilità, ma allor stesso tempo di cura per quello che viene restituito al pubblico, perché tu hai modo di raccontare qualcosa al pubblico, e di farglielo vedere attraverso i tuoi occhi.
Secondo me sia il regista che il coreografo devono fare questo: essere il tramite attraverso il quale il pubblico riceve qualcosa: un messaggio, una sensazione, un’emozione. È un po’ come essere un capitano che ha un dovere: quello di portare la barca in porto e di far sì che tutti quelli che sono sul palcoscenico siano meravigliosi e possano brillare con il loro talento, con i loro difetti, con i loro pregi e con la loro vulnerabilità.

SE TI DICO “NEVERLAND IL MUSICAL”, CHE COSA MI RISPONDI?
Penso alla prima volta che sono andato a New York: è stato il primo musical che ho visto a Broadway e me ne sono innamorato perdutamente.
Credo che Neverland sia una storia delicata, gentile, romantica, poetica, magica, divertente, ironica, triste, dove ci insegna qualcosa come il rapporto con la morte, la relazione con i figli, con i genitori…è uno spettacolo veramente denso!
La scelta della “Compagnia Teatro Giovani Torrita” di portare in scena questo spettacolo è stata molto coraggiosa. È stato bellissimo provare a raccontare questa storia perché è straordinaria, è “la storia di una storia!”; è stato un privilegio riuscire a portarlo in scena ed ho la sensazione che lo riproporrò negli anni a venire.

TI È CAPITATO DI INTERPRETARE PERSONAGGI LONTANI DALLA TUA PERSONALITA’?
A me capita sempre, praticamente in ogni spettacolo, ed è proprio quello che mi diverte perché amo farlo.
L’ultimo spettacolo a cui ho partecipato è stato “Once-una volta nella vita”, in cui ho un ruolo da co-protagonista e lì ho modo di divertirmi perché il personaggio è lontano da me: nello spettacolo sono un irlandese di origini spagnole, molto in sovrappeso, con una lunga barba, un po’ hipster; suono il violoncello, canto, ballo, faccio flamenco…ma sono anche un personaggio solo, avvolto da un grande groviglio interiore che piano piano si scioglie nella storia o che si intrica ancora di più, dipende come lo si legge.
Mi è capitato anche Willard di “Footloose”, un contadino che non sa ballare, un po’ bamboccione; ho fatto anche una Drag Queen ed ho interpretato Greg in “A chorus line”, uno dei ballerini con un’età avanzata ed una grande esperienza alle spalle, ma che è un po’ disilluso dalla vita.
Tanti ruoli lontani da me, ma…che preferisco.
Questo è anche teatro: se io devo sognare ad occhi aperti, sogno quello che non sono, così ho il modo di vivere altre vite.

EPISODIO PIU’ IMBARAZZANTE SUL PALCO E COME SEI RIUSCITO A CAVARTELA
Ne ho due: il primo, che è quello che mi ha spaventato di più, è stato durante l’anteprima di “Robin Hood”: in una scena entravo gattonando perché avevo una pelle d’orso addosso; dopodiché venivo sorpreso, cominciavo ad urlare, e mi tiravo su di fretta correndo in cerchio e quella sera sono andato in iperventilazione e sono quasi svenuto sul palco; per un attimo non ho visto più niente: mi hanno ripreso al volo e siamo andati avanti.
Tutto questo, credo, rimarrà nella storia.
Il secondo è stato qualche giorno fa: ho sostituito un attore in “Van Gogh Cafè”.
In una scena dovevo suonare delle bottiglie, come se fossero una batteria, solo che non avevo capito il momento esatto per incominciare a suonarle, così si sono girati tutti verso di me e mi hanno detto “: vai!”, ma io non avevo nemmeno le bacchette.
Ho riso così tanto dall’imbarazzo, però ho risolto suonando lo stesso.
Questi forse sono i due episodi più divertenti.

IN QUESTO MOMENTO SEI IN SCENA CON PRETTY WOMAN: QUANTO È IMPEGNATIVO PREPARARE UN MUSICAL?
È molto impegnativo!
A mio avviso richiede grande cura (ed ho avuto la fortuna di incontrare dei registi che ne mettevano tanta) ma anche rispetto per la storia che viene raccontata, per l’autore che l’ha scritta, che sia edita o inedita.
Io non giudico mai il lavoro del regista quando è fatto con questa cura; sinceramente lo giudico quando non lo è, per me un regista che non ti dà una visione ben chiara è un direttore del traffico, soprattutto in un musical in cui devi coordinare tanti settori: la parte coreografica, quella vocale, orchestrale, quella dei costumi, delle scenografie e delle luci.
È un grande lavoro che, se fatto con una squadra ad hoc, è fantastico, può essere come “L’opera Omnia” di Wagner dove si crea un tutt’uno oppure può essere un disastro: se non c’è una guida salda, un’armonia nella squadra, quello che ne uscirebbe fuori potrebbe diventare un accordo stonato.
Essere parte del team creativo di “Pretty Woman” è stato meraviglioso: ho avuto la fortuna di essere nella parte creativa ed imparare tantissimo e mi ha fatto acquisire ancora più rispetto per chi è dall’altra parte.


GRAZIE PER L’INTERVISTA
Grazie a te, auguro a tutti un sincero augurio di buona Pasqua, vi abbraccio forte!

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A Chorus Line - Teatro Nazionale Milano
Giulio Benvenuti
La dodicesima notte - Globe Theatre Roma

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